domenica 11 novembre 2012

Scienza parallela

Esiste una sorta di "scienza dietro lo specchio", qualcosa che apparentemente sembra scienza, usa lo stesso linguaggio, talvolta viene pure effettuata negli stessi luoghi, ma che è profondamente differente. Vorrei provare a evidenziare le differenze.

Siccome questa "scienza" in sostanza è una narrazione, una bella storia che fa presa, attinge a piene mani dalle storie, dal cliché dello scienziato che vediamo di solito in un film di fantascienza. Quindi la "scienza parallela", quella fatta dia "ricercatori indipendenti" bistrattati dal Sistema, ci si identifica, o gioca con la percezione comune per farsi identificare in quella figura. Proviamo quindi a vedere come vanno le cose nei film e nella realtà.

L'illuminazione

Lo scienziato nei film di fantascienza è spesso un tizio geniale, che ha un'idea luminosa. Solo lui ha capito davvero come vadano le cose, e con sforzo e dedizione riesce a far trionfare la sua visione. Sa dall'inizio di aver ragione, ma una pletora di individui conservatori, legati a stereotipi e a giochi di potere, lo ostacolano.

Nella realtà lo scienziato parte sì con un'idea, di rado anche geniale. Riesce a vedere le cose da un punto di vista differente, immaginare qualcosa che nessun altro ha immaginato, osservare un fenomeno finora sfuggito a tutti. Ma quel che non si dice è che 99 volte su 100 l'idea è semplicemente sbagliata. Lo scienziato ci pensa su, fa dei controlli, e scopre di aver cannato di brutto. Poco male, magari un aspetto di quell'idea si salva, o si parte con un'idea differente. Se sei bravo prima o poi incappi in quell'idea su 100 che davvero ha qualcosa a che fare con la realtà che ci circonda, e dai un contributo a comprenderla.


Le prime critiche

E qui cominciano i problemi. Lo scienziato dei film comincia a difendere la sua idea dai cattivi ed ottusi critici, l'idea gli appare chiara e distinta, ovvia, nella testa. Non c'è bisogno di controllare, solo di convincere i colleghi. Non ci sono mai passi indietro, ripensamenti, anzi, la fede ferma e ostinata del nostro eroe è quella che alla fine lo farrà prevalere contro tutte le critiche, mosse solo da incomprensione, invidia, o peggio.

Lo scienziato vero comincia lui stesso a massacrarla, a cercare tutti i possibili difetti, a criticarla a bestia. Non perché sia masochista, ma perché sa che se non lo fa lui lo faranno i colleghi, e non avranno pietà. Comincia a vedere se spiega gli esperimenti meglio delle teorie attuali. Come si concilia con queste, in dove è differente, in dove simile. Che esperimenti si potrebbero fare per distinguere chi ha ragione. E naturalmente quali sono i punti deboli, dove potrebbe aver sbagliato. Analizza proprio quelli in dettaglio, fa calcoli per mettere alla prova la teoria proprio dove è più debole. Chiede a qualche collega di rivedere i punti più critici, perché quattro occhi vedono meglio di due.

Far conoscere la propria teoria

Lo scienziato dei film poi non ha modo di far conoscere le sue idee. Al massimo va a qualche congresso, dove lo prendono a pomodori marci in faccia. E allora si rivolge alla gente, che lo capisce. In fondo l'idea è ovvia, basta avere la mente aperta e se ne riconosce l'intrinseca bellezza. Ma l'establishment, gli scienziati ottusi, gli interessi delle multinazionali che verrebbero danneggiati dalla brillante idea,impediscono in tutti i modi che se ne parli. 

Lo scienziato vero descrive le sue scoperte su riviste specializzate, lette dai suoi colleghi. Le riviste adottano un filtro (peer review), in cui esperti del settore valutano se l'idea stia in piedi, e sia descritta correttamente, ma non entrano nel merito della sua validità. Questo metodo ha un sacco di difetti, il processo di review è molto discrezionale e sicuramente penalizza un po' le idee troppo rivoluzionarie. Ma consente a chiunque di far conoscere i propri lavori, anche se fa parte di uno sconosciuto centro di ricerca di periferia, o neppure di quello. Una volta pubblicata, un'idea brillante viene notata da migliaia di ricercatori. Se effettivamente funziona, qualcuno proverà a ripeterla, perfezionarla, metterla in pratica. Infatti se è vero che i "baroni" tendono a conservare il proprio potere accademico mantenendo le proprie idee che li hanno portati al successo, un sacco di loro rivali non aspetta altro che l'imbeccata di una teoria rivoluzionaria che li renda famosi e porti loro al successo. 

Le multinazionali ed i poteri forti
Le multinazionali agiscono circa nello stesso modo nei film e nella realtà, tendendo ad ostacolare le idee pericolose con metodi esterni all'ambiente scientifico: magari pagheranno qualche ricercatore per produrre degli studi pilotati, qualcuno dei quali finirà anche nelle riviste scientifiche e verrà usato per dimostrare che "la scienza è divisa" sul tema, ma in genere lavoreranno cercando di screditare la ricerca, più che pilotandola. Organizzeranno petizioni di migliaia di "scienziati", scelti in modo opportuno tra i milioni di laureati in qualsiasi disciplina, di solito che non c'entrano nulla con il tema in questione. Lo abbiamo visto per gli studi sul fumo, o per il tema del riscaldamento globale. Tanto i politici, quelli che devono poi decidere, e il pubblico che li vota non leggono le riviste scientifiche.

Nei film poi di solito le multinazionali impediscono fisicamente ai ricercatori di comunicare le proprie idee. Hanno un potere pressoché infinito, e sanno riconoscere a colpo un'idea pericolosa, mettendo in campo tutta la loro enorme potenza di fuoco mediatica persino per zittire lo sconosciuto ricercatore che ha scoperto una arcana teoria con potenzialità enormi, ma tutte da esplorare.

Nella realtà i grossi centri di potere hanno sì capacità comunicative enormi, (mentre gli scienziati comunicativamente sono dei dilettanti allo sbaraglio), ma le mettono in campo quando le idee hanno ormai una grossa diffusione nel mondo accademico, e cominciano ad uscire anche nel mondo della gente comune. Possono usare allora anche sistemi pesantissimi di diffamazione ed intimidazione (pensiamo al climategate ad esempio), ma ad es. dubito che qualche ditta automobilistica sia anche solo vagamente preoccupata di Eolo, l'auto ad aria, e dubito che qualche petroliere conosca la pletora di sistemi "free energy" che si leggono nei siti di scienza alternativa. Le energie alternative preoccupano, ma solo ora che stanno diventando economicamente rilevanti, ma non viene fatto nulla per ostacolare la ricerca nel campo.

Dalla teoria alla pratica



Lo scienziato dei film è un genio universale. Le sue scoperte spaziano tutto lo scibile umano. La sua teoria magna rivoluziona un po' tutto, e soprattutto ha un sacco di applicazioni immediate, che lo scienziato stesso costruisce materialmente nel suo laboratorio o addirittura nel suo garage. Se lo scienziato usa la matematica, lo fa con una "formula" di poche righe, che a colpo d'occhio qualunque altro scienziato è in grado di capire e verificare. Ma spesso usa solo un disegnino, un grafico, uno schema su un foglio di carta.

Schema del flusso canalizzatore di "Ritorno al futuro"
Nella realtà una scoperta scientifica rappresenta un passo, magari rivoluzionario, in un contesto che rimane valido, magari in un ambito più ristretto. Le applicazioni sono lontane, difficili da realizzare, al massimo lo scienziato realizza un prototipo, qualcosa che funziona solo in laboratorio. E ancora il mondo è pieno di brillanti scoperte che in laboratorio funzionavano benissimo, ma nella vita reale no. La matematica è essenziale per descrivere le scoperte, i disegnini servono solo ad aiutare a capire il significato delle formule. Che sono complicate, difficili da seguire anche per un esperto, e soprattutto belle lunghe.

Bene, a quali delle due descrizioni assomiglia la rivoluzionaria teoria del dott. Keshe, oggetto persino di una interpellanza parlamentare? O l'e-Cat, di Rossi?

8 commenti:

Mauro ha detto...

Ottimo articolo. Grazie.

Peccato solo che chi debba veramente imparare queste cose difficilmente lo leggerà...

Saluti,

Mauro.

Anonimo ha detto...

L'ulteriore problema è la nefasta influenza dei social network in tutto ciò. Grazie per questo bell'articolo, molto divertente e chiaro.

Anonimo ha detto...

Keshe, Haarp per scopi maligni, AIDS che non esiste, Masaru Emoto e l'acqua che si offende o che ringrazia, Vaccini che provocano autismo, Scie chimiche, 11 Settembre etc etc. Non capisco se Internet ha rincoglionito la gente o ha soltanto evidenziato l'ignoranza abissale che ci circonda.

Domenico de Simone ha detto...

Grazie per l'articolo. Leggendo dal sito della Fondazione Keshe gli articoli sulle mirabolanti scoperte del suo fondatore, ho avuto la Sua stessa sensazione di leggere fuffa costruita su una terminologia parascientifica che serve a dargli una aura di credibilità ma che non dice niente. E concordo sul fatto che Vanna Marchi potrebbe al massimo lustrare le scarpe del nostro esimio "para-scienziato" (absit injuria verbis!). Tuttavia, se per la scienza, il metodo scientifico de il controllo della comunità scientifica sono sufficienti ad eliminare le bufale, lo stesso non vale nel campo di cui mi occupo, ovvero l'economia. I punti di vista non ortodossi sono privati di ogni visibilità, anche agli occhi della comunità. In altri termini la peer review non funziona e per fare ricerca occorre battere strade diverse. L'economia non è una scienza, non in senso compiuto almeno, ma che ci sia un controllo ferreo da parte degli alfieri del pensiero dominante è un dato. Le faccio un esempio. Una dozzina di anni fa scrissi in un libro che i derivati svolgevano una funzione monetaria e che potevano avere effetti perversi sull'economia reale. Ricevetti un po' di scherno e di disprezzo, ma me l'aspettavo. Qualche tempo fa ho scoperto che altro economista, ben più autorevole di me, era pervenuto alla stessa conclusione più o meno nello stesso periodo e che aveva cercato di far pubblicare le sue ricerche da riviste specializzate. Ne aveva ricevuto rifiuti immotivati e, immagino, le stesse espressioni di scherno che avevano accompagnato la pubblicazione del mio libro. Il fatto è che quell'economista non fosse un qualunque eterodosso, ma il prof Paolo Savona, noto non solo per le sue ricerche ma anche per essere stato Ministro dell'Economia in Italia. Quando poi, qualche anno fa si è scoperto che la cosa era drammaticamente vera, e che se si fosse dato retta, non dico a me, ma a Savona, forse avremmo potuto evitare le nefaste conseguenze della crisi del 2009 che ancora adesso subiamo, il silenzio su quel warning è diventato se possibile, ancora più ferreo. Tutti quelli che deridevano sono diventati i primi ad aver scoperto la pericolosità della crescita abnorme di derivati e della loro influenza nella finanza. D'altra parte, anche Keynes fino ad un paio di anni dopo la sua morte, era tabù ad Harward e chi osava solo pronunziarne il nome veniva espulso dall'università, per il solo fatto che osava mettere in dubbio la legge di Say. Occorre sempre molta umiltà e spirito critico, ed entrambe queste qualità non abbondano nelle comunità scientifiche, o comunque in quella economica. Rispetto alla quale Lonergan, economista e filosofo canadese (e gesuita) notava che se le borse di studio delle università del suo paese erano tutte finanziate da Banche, sarebbe stato difficile lo sviluppo di un pensiero critico nei loro confronti. A buon intenditor....

Gianni Comoretto ha detto...

@Domenico
Sollevi un problema spinoso.

L'economia è in parte scienza, e in parte politica. La parte politica è differente seconda del punto di vista, certe cose sono "giuste" o "sbagliate" a seconda di che interessi uno abbia. Occorre ottimizzare la produzione di ricchezza, una sua equa distribuzione, o magari "premiare" chi ha maggiore "intraprendenza"? E naturalmente, come nel caso dei derivati che citi, cambia molto se tu nei derivati ci investi o meno.

Sulla questione della finanza speculativa e dei suoi rischi, un pochino me ne occupo da ben prima del 2009, ma anche oggi, quando i rischi del settore sono chiari, non è altrettanto chiaro cosa si dovrebbe fare per mantenere una funzione "sana" della finanza ma bloccare efficacemente la speculazione.

E nel frattempo i fuffari imperversano anche qui. Pensa a tutti quelli che tirano fuori la storia del signoraggio, e sostengono che basterebbe mettere in moto le rotative e distribuire a destra e manca cartamoneta a gogo' per risolvere qualsiasi crisi.

Gianni Comoretto ha detto...

P.S. Sto leggendo "Finanza per indignati", di Andrea Baranes. Mi sembra interessante....

Domenico de Simone ha detto...

@Gianni
Grazie per la tua risposta, e Buon Anno!
La fuffa imperversa dappertutto, purtroppo, e l'economia ne è piena. Quella sul signoraggio è un esempio illuminante di come si possa ridurre a fuffa un problema serio come quello della creazione di moneta, finendo per nascondere i problemi veri. Un'alternativa possibile è il tasso negativo che la gestione elettronica della moneta rende molto più agevole di quanto non fosse all'epoca di Gesell o di Keynes che pure se ne occupò seriamente. Solo che si tratta di minare le fondamenta del capitalismo, e la reazione dei difensori del sistema è fortissima. Nel marzo del 2009 Gregory Mankiw, docente di economia ad Harward e consigliere economico di Bush, lo propose con un "provocatorio" articolo sul NYT, e dopo circa un mese Wilem Buiter, docente alla London School of Economics e già rappresentante della Banca di Inghilterra al BIS, la ripropose con un breve saggio teorico apparso sul Financial Times: come andare a parlare di distribuzione delle terre a Versailles alla vigilia della Rivoluzione. La reazione più gettonata fu di impugnare le armi se qualcuno avesse provato a assoggettare ad imposta (che di questo si tratta) il denaro. Negli ambienti che "contano", se ne parla da diversi anni: un saggio interessante sul tema è di Mitsuhiro Fukao della Keio University nel marzo del 2003 e poi nel 2005. Fukao è stato anch'egli rappresentante della BoJ nel BIS e il dibattito che ne seguì fu breve ma molto vivace. D'altra parte i giapponesi sono da decenni in piena trappola della liquidità e qualcosa dovranno pure fare per uscirne. In Italia, ovviamente, non se ne parla se non negli scantinati: i difensori dell'ortodossia nostrani brillano per la loro ottusità. L'idea del tasso negativo è di togliere alla moneta la sua funzione di riserva di valore, o comunque di limitarla notevolmente. Allo stesso tempo, il TN aumenta la velocità di circolazione della moneta che tende ad essere costante: negli esperimenti fatti durante la crisi degli anni '30, si è verificato che la velocità di circolazione si moltiplica per un fattore di circa 6. La mia idea di introduzione del TN nel sistema, che ho esposto in diversi libri da ultimo "Crac, il tracollo economico dell'Italia" Editori Riuniti, 2011, è di applicarlo come una sorta di moneta parallela emessa mediante obbligazioni a tasso negativo. L'emissione deve essere effettuata sugli investimenti e ad ogni emissione deve corrispondere una distribuzione di Reddito di Cittadinanza, sia per evitare gli effetti deflazionari del TN, sia per sostenere la domanda, sia per eliminare il senso di insicurezza che da il tasso negativo alla gente abituata a vedere la sicurezza in termini di risparmio individuale. Sul fatto di utilizzare le obbligazioni come moneta (idea che mi ha attirato insulti e critiche), c'è stata qualche mese fa la proposta del centro studi di Deutsche Bank di usare un meccanismo del genere per la Grecia. La proposta consiste nell'emettere obbligazioni in Euro "G" che ovviamente sconterebbero il differenziale di inflazione che l'economia greca deve al resto d'Europa all'inizio, ma che potrebbero rimediare alla mancanza di liquidità senza dover necessariamente passare per il ritorno alla dracma. Ho obiettato che in questo modo si rischierebbe un doppio regime di prezzi, mentre se le obbligazioni fossero a tasso negativo il differenziale sarebbe assorbito dalla progressiva scomparsa della moneta nel periodo previsto. In questo modo le due monete non si distinguerebbero se non per la circolazione, ma non ci sarebbero effetti perversi sui prezzi e la moneta a TN assorbirebbe l'inflazione semplicemente scomparendo dalla circolazione dopo avere, però, innescato una sostanziosa ripresa dell'economia agendo sia sul lato dell'offerta che su quello della domanda.

Domenico de Simone ha detto...

Occorre un salto di paradigma per capire la portata rivoluzionaria dell'introduzione del tasso negativo nell'economia. Io ritengo che sia inevitabile, e da qualche anno, diverse banche centrali, dopo quella svedese nel 2009, hanno adottato tecniche di tasso negativo sui depositi delle banche commerciali con effetti interessanti. Ma ovviamente non basta: il TN (e questa è scienza) è una tecnica che di per sé può anche produrre effetti perversi, così come l'elettricità serve anche ad ammazzare la gente sulla sedia elettrica. Anche il RdC è scienza, poiché svolge la funzione di sostenere la domanda in funzione anticiclica, ma entrambe sono intrise di "politica" se pensiamo alla funzione anticapitalistica del tasso negativo, che elimina di fatto gli interessi attivi sul capitale finanziario ed alla logica redistributiva della ricchezza indotta dal RdC. Il salto di paradigma consiste nell'idea di Tipler che le risorse sono sempre sufficienti e che la scarsità è un problema politico, sociale o culturale, ma non oggettivo. Questo assunto Tipler lo dimostra, ma questo significa poco: anche Galileo proponeva dimostrazioni inoppugnabili, ma purtroppo contrarie alla logica del potere....
P.S.: Conosco Andrea Baranes e ne ho molta stima, è uno studioso intelligente e capace, anche se potrebbe essere più radicale. Confesso che il suo libro è ancora nel novero di quelli elencati nel Viaggiatore di Calvino, ma prima o poi lo leggerò!